Energie green: produzione e incentivazione

Energie green: produzione e incentivazione

Certificati bianchi

Feed in Tariff, Feed in Premium e sistemi di quote d’obbligo (link all’articolo Gli incentivi statali volti a premiare e incrementare la cogenerazione e la micro cogenerazione domestica) sono alcuni tra gli incentivi che lo Stato prevede per quanti decidano di fornirsi di sistemi di cogenerazione e micro cogenerazione domestica (link all’articolo omonimo), assieme ai certificati bianchi e ai certificati verdi.
Titoli di Efficienza Energetica (TEE), nei quali rientrano i due certificati, attestano i risparmi energetici conseguenti a vari interventi di efficientamento energetico (che potrebbe andare dalla sostituzione dei vecchi infissi all’installazione di una caldaia a condensazione-link all’articolo Ristrutturazioni e riscaldamento radiante: le soluzioni proposte da Viega-, dal rifacimento del tetto o della coibentazione all’impiego di sistemi basati sulle energie rinnovabili-link all’articolo Un bel bagno caldo!). Implicando il riconoscimento di un contributo economico, rappresentano un incentivo a ridurre il consumo energetico in relazione al bene distribuito.
Entrati in vigore in Italia nel 2005, i certificati bianchi consistono in titoli acquistabili e successivamente rivendibili il cui valore in tep è soggetto a variazioni stabilite anche in funzione dell’andamento del mercato. Il valore energetico di un tep è comparabile col consumo annuale di energia elettrica (link all’articolo Santoni: una vita dedicata al riscaldamento elettrico) di una famiglia media.
Esiste però una differenza tra energia termica ed energia elettrica (a parità di quantità, è necessario un apporto maggiore di energia primaria per produrre la seconda che non la prima): per questo se si consuma minore energia elettrica ci si vede riconoscere un risparmio in termini di tep maggiore che se risparmiassimo sul consumo termico.
L’entità del risparmio energetico da conseguire per accedere al meccanismo incentivante dei certificati bianchi dipende dalla tipologia di progetto sottoscritto e dalla tipologia degli interventi di efficienza che lo compongono: bisogna conseguire un risparmio di 20 tep/anno per interventi soggetti a valutazione cosiddetta standard, un minimo di 40 tep/anno per interventi soggetti a valutazione analitica e almeno 60 tep/anno per interventi da valutare con metodo a consuntivo.

I certificati bianchi riguardano quattro tipi di interventi:risparmio di energia elettrica;

1) risparmio di gas naturale (link all’articolo i gas freon);

2) risparmio di altri combustibili per autotrazione;

3) risparmio di altri combustibili non per autotrazione.

L’osservanza dei limiti di risparmio energetico viene premiato dall’Autorità e da altre fonti governative di finanziamento con un contributo economico, il cui valore viene stabilito annualmente dalla stessa Autorità. Inoltre è possibile guadagnare vendendo i titoli in eccesso grazie al raggiungimento di un risparmio superiore a quello annualmente prestabilito. Di contro, coloro i quali non riescono a ottemperare agli obblighi minimi assunti vengono sanzionati e dovranno acquistare sul mercato altri titoli necessari al raggiungimento dell’obiettivo minimo prefissato.
In Europa i certificati bianchi non sono abbastanza diffusi: infatti, oltre l’Italia, attualmente solo la Francia adotta tale certificazione, mentre altre nazioni o adottano altri schemi di risparmio energetico o si stanno avviando all’introduzione dei certificati bianchi (come Gran Bretagna, Danimarca e Paesi Bassi).

Certificati verdi
I certificati verdi, introdotti dal Decreto Bersani e validi solo per impianti entrati in servizio entro il 12 dicembre 2012, sono una forma di incentivazione pensata per le imprese e le attività che producono energia da fonti convenzionali, come petrolio, carbone, metano (fermo restando l’obbligo di legge per gli stessi soggetti di adoperare fonti rinnovabili per il 2%), e rilasciata dal GSE (Gestore Servizi Energetici).
Quando un impianto “green” riesce a produrre energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un altro con fonti fossili (petrolio, gas naturale, carbone ecc.) Allora conquista dei certificati verdi che quindi corrispondono a un “tot” di emissioni “risparmiate” al pianeta Terra, che possono essere rivenduti dai gestori a chi dovrebbe produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili, ma non lo fa.
Ciascuno dei certificati verdi ha un valore che convenzionalmente corrisponde alla produzione di 1 MWh di energia rinnovabile. Dato che per rispettare l’obbligo di legge sulle fonti rinnovabili, non potendo immettere in rete energia elettrica pulita, si possono comprare i certificati verdi da altri, ovvio che essi hanno anche un prezzo di mercato. Questi acquisti e vendite avvengono in una borsa gestita da GME a cui si rivolge l’impresa produttrice di energia quando vuole, in verità deve, acquistare i certificati verdi che le mancano per essere a posto con l’obbligo che incombe su di lei (al costo, nel 2006, di circa 125 €/Mwh).
I certificati verdi hanno validità triennale. A partire però dall’anno 2016, il GSE li erogherà su base trimestrale entro il secondo trimestre successivo a quello di riferimento. Intanto gli operatori potranno avere la certificazione mensile della produzione incentivata, del relativo controvalore economico dell’incentivo e della data di erogazione da parte del GSE. Quando la produzione di energia degli impianti non è determinabile su base mensile, o nel caso di impianti di cogenerazione abbinati a teleriscaldamento, gli incentivi verranno erogati su base annuale.
Pensati per incentivare virtuosi processi di produzione di energia, i certificati verdi sono stati concessi anche a “fonti cosiddette assimilate alle rinnovabili”: in questo modo hanno in parte annullato la loro validità e la loro missione di ridurre i gas serra (link all’articolo energia eolica), finendo nelle tasche di chi produceva energia tramite combustione di scorie di raffineria, sanse o incenerimento dei rifiuti (il decreto Bersani è poi stato corretto, ma il danno era già bello che fatto!).
Altre distorsioni si sono verificate per una mancata calibrazione dell’incentivazione rispetto a costi e produzioni, come nel caso dell’eolico, per il quale si è registrato un anomalo e innaturale ampliamento delle aree del territorio nazionale dove era conveniente installare un impianto di questo tipo: un’incentivazione non calibrata sulla base della produzione che si vuole raggiungere, o sui costi che si vogliono sostenere, che ha determinato un effetto di degrado di territori e paesaggi.
E se da un lato hanno spinto troppo certi tipi di energia, i certificati verdi non hanno saputo invece incrementarne altre, come il solare termodinamico, rimasto sostanzialmente sconosciuto e poco adoperato.
COIBENTAZIONE: COME IMPEDIRE AL CALDO DI FUGGIRE!

COIBENTAZIONE: COME IMPEDIRE AL CALDO DI FUGGIRE!

Ti hanno sconsigliato di affittare, o peggio ancora, acquistare, una mansarda (link all’articolo L’impianto di riscaldamento adeguato per una mansarda), per via del fatto che in inverno si gela dal freddo e in estate si crepa dal caldo? Forse non hanno tutti i torti!

Questi grossi inconvenienti sono da attribuirsi a una carente o scorretta coibentazione, laddove con questo termine si fa riferimento all’isolamento termico di una parete che divide due ambienti: essa prevede di aumentare la resistenza termica, o anche diminuire la trasmittanza.
Gli interventi possono riguardare le pareti perimetrali dell’ambiente considerato, il tetto (link all’articolo Chi dice che basta avere un tetto sulla testa?), e anche il pavimento.
Nel caso della mansarda di cui sopra, è molto probabile che il problema sia il tetto.
Qualora si tratti di una copertura in tegole è possibile applicare sotto di queste dei pannelli preformati in polistirene o altri materiali, con spessore minimo di almeno 5 cm, che svolgono anche la funzione di guaina e di sistema di ventilazione sottocoppo, coi vantaggi che questo comporta. Se il lastrico solare non è calpestabile si può anche applicare del materiale semplicemente appoggiato sopra. Se il problema principale è il caldo anche una semplice mano di vernice bianca o argento riduce moltissimo il calore assorbito (e poi ritrasmesso all’interno). Per lastrici solari calpestabili è applicabile la stessa soluzione dei pavimenti. 
Si perché, anche se l’isolamento del pavimento è generalmente poco considerato, in ambienti confinanti con locali disabitati come ad esempio garage, cantine e simili, questo tipo di intervento potrebbe rivelarsi una manna dal cielo, sia in termini di miglioramento del benessere e della qualità abitativa che rispetto al dispendio economico.
L’operazione è complessa e costosa se si tratta di pavimenti già esistenti, ma se si sta effettuando una ristrutturazione, si potrebbero usare massetti premiscelati/alleggeriti con argilla o con altri materiali inerti affogati all’interno, oppure lastre di polistirene concepite per questo utilizzo (hanno una resistenza alla compressione più elevata rispetto alle normali).
Gli interventi a carico dei muri perimetrali possono realizzarsi (anche contemporaneamente) applicando un isolante esternamente, internamente o nelle intercapedini.
Nel primo caso si parla di isolamento a “cappotto“, che presenta il sostanziale vantaggio della creazione di un “volano termico”. Questo significa che tutta la muratura interna al “cappotto” è capace di accumulare energia termica e la sua inerzia termica contribuisce a tenere stabile la temperatura nell’ambiente interno o comunque di evitare variazioni rapide della stessa. Un isolamento applicato sulle pareti interne, ad esempio lastre di polistirolo, non ha inerzia termica, e quindi si viene a creare il cosiddetto “effetto baracca”, dove la temperatura degli ambienti varia in maniera relativamente rapida (ad esempio tra giorno e notte) inficiando il comfort abitativo.
La tua è la mansarda di un edificio storico? Tranquillo, questo sistema può essere utilizzato sia in edifici di nuova costruzione sia in interventi di restauro, garantendo l’eliminazione totale dei “ponti termici”, ossia di quei punti della struttura in cui il calore tende a disperdersi.

Hai notato che le pareti della mansarda presentano delle macchie e che sugli infissi tende a formarsi della condensa? Anche per questi problemi il cappotto può rappresentare una soluzione.

Il sistema d’isolamento a cappotto consiste nel fissare all’esterno delle pareti, tramite collanti e tasselli, dei pannelli coibentanti che successivamente vengono rasati con una speciale colla e armati con una rete in fibra di vetro prima dell’applicazione finale del rivestimento di protezione per gli strati sottostanti. Ma esso può essere adottato anche per le pareti interne, ad esempio in quei casi dove la facciata esterna rende sconsigliabile o impraticabile l’isolamento a cappotto esterno (ad esempio edifici rivestiti in cortina), oppure nel caso di appartamenti in condominio. E se la tua esigenza fosse di contenere le spese? Potresti provare ad applicare delle lastre in cartongesso preaccoppiate a pannelli di polistirene espanso sinterizzato di almeno 3 cm di spessore da incollare: un sistema rapido ed economico, che però non ti consente di appendere oggetti alle pareti (ma puoi ovviare con appositi stop da cartongesso), e che potrebbe creare fessurazioni lungo le linee di accoppiamento delle lastre. Altrimenti potresti provare dei rivestimenti in “perlina di legno” (tavolette presagomate) accoppiate a lastre di materiale isolante (sintetico come il polistirene o naturale come il sughero).
L’isolamento delle pareti può avvenire anche all’interno, nel caso in cui l’edificio fosse in costruzione, inserendo lastre di polistirene, lana di roccia o materiali naturali vari come sughero, fibra di canapa, lana di legno etc.
Ma non è questo il caso, visto che la mansarda è già costruita; eppure potresti insufflare materiali isolanti (come sughero, sughero tostato, perlite, polistirolo, e altri materiali leggeri, evitando ad esempio l’argilla espansa o altri materiali relativamente “pesanti”, che eserciterebbero una pressione che farebbe cedere il muro nella parte bassa), effettuando un reticolo di fori a distanza di circa un metro tra di loro.

Se la coibentazione è un ottimo inizio, ci sono poi una serie di altri accorgimenti costruttivi che consentono di risanare energeticamente una costruzione:

  • intercapedine ridotta: a differenza di quanto si pensasse in passato, l’intercapedine vuota presente tra mura esterne e interne deve essere di ridottissima entità, visto che, in caso contrario, l’aria origina moti convettivi che trasportano più facilmente il calore da un ambiente all’altro. Meglio quindi uno spessore esiguo, di pochi millimetri, e comunque non superiore ai 4 centimetri, in modo da facilitare lo smaltimento di eventuale umidità ma senza peggiorare l’isolamento termico (link all’articolo SISTEMI DI COIBENTAZIONE: dall’insufflaggio al Thermofon);
  • ponti termici interrotti, che aumentano le dispersioni termiche tra due ambienti: uno dei ponti termici più comuni è costituito dalla presenza di parti di cemento armato non rivestite in corrispondenza di colonne o travi;
  • infissi: la resistenza termica del vetro è molto più bassa di quella delle pareti, per cui si può arrivare anche al 50% delle dispersioni attraverso balconi e finestre.
Quando si produce contemporaneamente calore ed energia elettrica: la cogenerazione.

Quando si produce contemporaneamente calore ed energia elettrica: la cogenerazione.

Nell’attuale contesto di crescente aumento dei prezzi dell’elettricità, la produzione decentralizzata di energia elettrica sta acquisendo sempre maggiore importanza.
L’impianto di cogenerazione diviene così un complemento importante dell’impianto di riscaldamento.
Ma di cosa si tratta?
Durante la produzione di energia elettrica in una centrale si genera contemporaneamente anche calore, che spesso non viene utilizzato. Un impianto di cogenerazione recupera questo calore e lo utilizza per il riscaldamento dell’ambiente oppure per la produzione di acqua calda sanitaria.
In questo modo si raggiunge un rendimento complessivo molto più elevato rispetto alla generazione separata di elettricità e di calore e contemporaneamente si riducono significativamente le emissioni nocive per il clima e per l’ambiente (visto che si può risparmiare fino al 40% di energia primaria), e si abbatte di circa 1/3 il costo della fornitura abituale di corrente.
La Viessmann, azienda leader del settore, oltre ad offrire caldaie a condensazione, pannelli solari, caldaie a legna, pompe di calore (link all’articolo Pompa di calore vs termocamino), mette a disposizione del mercato anche cogeneratori di qualità eccellente, innovativi, sicuri e ideali per tutte le applicazioni, come i microcogeneratori con motore Stirling e gli impianti di riscaldamento a celle a combustibile.
Il microgeneratore viene alimentato da un bruciatore, che produce energia elettrica, dalla quale si ottengono nel motore Stirling temperature elevate, ossia calore sufficiente per la produzione di energia per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria per la maggior parte dell’anno (se fosse necessario più calore, una caldaia a condensazione a gas, facilmente integrabile nei dispositivi, interviene a compensare, mentre la corrente elettrica in esubero può essere immessa nella rete pubblica utilizzando la forma dello scambio sul posto o del ritiro dedicato).
Con le sue caratteristiche, il cogeneratore è progettato per impianti residenziali e attività commerciali, con un rendimento complessivo che può superare il 95%.
L’azienda include nel suo listino prodotti: Vitobloc 200 EM 6/15 è un cogeneratore con funzionamento a gas metano o GPL, ideale per condomini, grandi edifici residenziali, aziende, enti pubblici, nuove costruzioni e riqualificazioni; Vitobloc 200 EM 9/20 è creato per l’alimentazione a GPL; Vitobloc 200 EM 20/39 è un Cogeneratore con potenza 20 kWel / 39 kWth per funzionamento a gas naturale, e potenzialità per funzionamento a gas liquido uguale a 20 kWel / 39,5 kWth.
Ma quando è opportuno ricorrere alla cogenerazione? Quando si disponi già di una rete gas, quando si vogliono ridurre i consumi di energia primaria, nel momento in cui si ha la necessità simultanea e continua di energia termica ed elettrica, quando si vogliono ridurre i costi dell’energia elettrica con l’autoproduzione, e laddove si vuole usufruire di detrazioni fiscali e contributi pubblici.
Per i cogeneratori a celle la ditta propone: Vitovalor 300-P, costituito da un modulo a celle a combustibile e uno con caldaia a condensazione a gas integrata, con una potenzialità termica di 19 kW (capace di coprire la maggior parte del fabbisogno di calore annuo di un‘abitazione monofamiliare), e Galileo 1000 N, un microcogeneratore a celle a combustibile ad alta temperatura (SOFC).
In Giappone sono già diffusi più di 34.000 generatori a celle a combustibile con tecnologia PEM (Polymer Elektrolyt Membran), prodotti da Panasonic. Proprio in collaborazione con Panasonic, Viessmann ha sviluppato un impianto di cogenerazione per il mercato europeo funzionante con la tecnologia a celle a combustibile PEM
Cos’è la legionella?

Cos’è la legionella?

Cos’è la legionella? Si tratta di un batterio aerobio del quale sono state identificate quasi 50 specie diverse e più di 70 ceppi, tra i quali la più pericolosa è la Legionella Pneumophila, responsabile di infezioni polmonari anche gravi che, attraverso il coinvolgimento degli organi extra polmonari, possono portare alla morte dell’individuo colpito nel 5-15% dei casi.
Il batterio sopravvive tra 5 e 55°C e prolifera tra 24 e 42°C, in condizioni di stagnazione e in presenza di incrostazioni o sedimenti, ma può anche creare in maniera indipendente il proprio ambiente ideale (biofilm), resistente sia all’azione termica che a quella chimica.
Il genere Legionella è stato così denominato nel 1976, dopo che un’epidemia si era diffusa tra i partecipanti al raduno della Legione Americana al Bellevue Stratford Hotel di Philadelphia. In quell’occasione, 221 persone contrassero questa forma di polmonite precedentemente non conosciuta, e 34 morirono. La fonte di contaminazione fu identificata nel sistema di aria condizionata dell’albergo che, insieme agli impianti di produzione e distribuzione dell’acqua calda, rappresentano l’habitat naturale del batterio (si trova anche nei fiumi e nei laghi e in generale in tutti gli specchi d’acqua la cui temperatura non è eccessivamente bassa, ma in questi casi è presente in dosi talmente basse da non costituire un pericolo).
Cos’è la legionella? Prevenzione e ciclo antilegionella
Per ridurre la pericolosità di questo batterio, oltreché l’adeguata manutenzione, che prevede una corretta pulizia degli impianti, degli accumuli e dei serbatoi, anche con trattamenti chimici volti a eliminare il biofilm, è possibile agire già dalla fase di progettazione, eliminando la possibilità di ristagno dell’acqua (quindi ottimi impianti con ricircolo) e prevedendo ove possibile tubazioni di rame per la distribuzione finale, in quanto il rame inibisce la formazione della legionella.
Un’alternativa è costituita dalla produzione istantanea dell’acqua calda sanitaria, senza prevedere accumuli e serbatoi (tuttavia in questi casi ne risentirebbero i costi e le necessità di spazio, che si accrescerebbero).
Il primo metodo di trattamento è la disinfezione termica, che consiste nel portare l’acqua sopra i 60°C: tuttavia, per essere realmente efficace, tutti i punti dell’impianto (compresi i terminali di distribuzione) devono raggiungere la temperatura in questione, che però non incide sul biofilm, per cui la legionella ha possibilità di ricostituirsi nel giro di qualche settimana.
Più efficace l’aggiunta di cloro in concentrazione elevata: la sostanza raggiunge adeguatamente tutti i punti dell’impianto, e agisce anche sul biofilm; tuttavia, oltre il fatto che alcune tubature potrebbero corrodersi, esistono dei limiti oltre i quali l’acqua non è più potabile (per cui, dopo m’impiego del cloro, saranno comunque necessari una serie di lavaggi dell’impianto prima di ripristinare la distribuzione dell’acqua).
A tutti questi limiti è possibile ovviare con l’impiego di piccole quantità di biossido di cloro, che presenta l’unico svantaggio che va prodotto in loco con idonee apparecchiature di potenzialità adeguata all’impianto.
Anche l’irradiazione del flusso d’acqua con lampade a raggi ultravioletti non si dimostra efficace sul biofilm e sulle zone di ristagno, per cui è necessario abbinarlo ad altri metodi (il ché però implica che si incrementino ulteriormente i costi, che già rappresentano il deterrente maggiore all’impiego di questo metodo).
La quinta modalità si basa sull’azione combinata di ioni rame e argento, generati tramite elettrolisi: tuttavia, a dispetto dell’efficacia, questo tipo di intervento viene inficiato in presenza di tubi zincati (in quanto lo zinco inattiva gli ioni argento) e di livelli inadeguati di ioni concentrati (troppo bassi non sono adeguatamente disinfettanti, troppo alti rendono non potabile l’acqua).
L’argento può essere adoperato anche in una soluzione stabile con acqua ossigenata, tuttavia tale metodo è relativamente recente e ancora poco diffuso per poterne dedurre la validità.
Non presenta rischi per la potabilità dell’acqua l’ozono, che presenta il vantaggio di agire anche su altri batteri e microrganismi eventualmente presenti nell’acqua.
L’ultimo e più innovativo metodo si basa sull’impiego di nanotubi applicati o direttamente sui punti di prelievo o sulle tubazioni di distribuzione, che costituiscono un filtro meccanico (filtro a membrana) per i batteri della legionella: tuttavia, trattandosi di diametri ridottissimi, i filtri vanno sostituiti con una certa periodicità e abbinati a qualcuno degli altri metodi e solo in assenza di impurità (pena l’intasamento immediato del filtro).
Tutto sommato però è bene evitare di affidarsi a un solo metodo, per quanto semplice o economico, ed è preferibile invece combinarne diversi in modo da garantirsi un ottimo livello di protezione a fronte di una spesa ragionevole, anche perché ci sono più di cento casi all’anno di legionellosi in Italia: una questione non proprio trascurabile!
La legionellosi
La malattia polmonare provocata dal batterio può manifestarsi in due forme distinte:
  • la malattia del legionario vera e propria, che frequentemente include una forma più acuta di polmonite
  • la febbre Pontiac, una forma molto meno grave.
Poiché sedimenti organici, ruggini, depositi di materiali sulle superfici dei sistemi di stoccaggio e distribuzione delle acque facilitano l’insediamento della Legionella, essa pone un serio problema di salute pubblica, soprattutto in ambienti come case di cura, residenze per anziani, ospedali, piscine, e altri luoghi pubblici.
La distinzione tra la legionellosi e altre forme di polmonite può essere fatta solo attraverso test diagnostici specifici e non sulla base dei sintomi che sono molto simili. Il test diagnostico classico, che solitamente viene effettuato solo quando esiste un sospetto di legionellosi, è l’isolamento del batterio dallo sputo, l’analisi degli antigeni presenti nelle urine e il livello di anticorpi nel sangue.

Nella forma febbrile minore, che può insorgere anche a poche ore dall’esposizione all’agente batterico fino a un paio di giorni dopo, la legionellosi causa febbre e dolori muscolari ma non polmonite. In questo caso i sintomi si riducono nel giro di pochi giorni.

Il trattamento della legionellosi, essendo una malattia di origine batterica, passa soprattutto attraverso terapie antibiotiche, che in pazienti non immunocompromessi, consente la guarigione senza strascichi o conseguenze importanti.
Chi dice che basta avere un tetto sulla testa?

Chi dice che basta avere un tetto sulla testa?

L’importanza di un tetto integro e coibentato per garantirsi il risparmio energetico.
Un proverbio recita: “Guadagno sotto il tetto, guadagno benedetto”. Ebbene, questo proverbio dice cosa sacrosanta: quando ci si appresta alla ristrutturazione di una casa : le soluzioni proposte da (Viega) il tetto rappresenta uno degli elementi fondamentali, e non solo perché ci protegge dagli agenti atmosferici, ma anche perché spesso da esso derivano grandi possibilità di risparmio. Tetto e risparmio energetico (link all’articolo Energie green: produzione e incentivazione) stanno in rima!
Può sembrare ovvio, ma gran parte dei problemi di dispersione dell’energia utilizzata per riscaldare una casa viene spesso dal tetto. L’isolamento termico di quest’ultimo, quindi, consente di guadagnare spesso tra il 20% e il 40% in termini di efficienza energetica. Naturalmente l’efficienza termica si riferisce sia a isolamento dal freddo che dal caldo. Una casa fresca d’estate e sufficientemente calda (link all’articolo Un bel bagno caldo!) D’inverno dipende spesso da un tetto costruito a regola d’arte in termini di risparmio energetico.
Ma veniamo alle soluzioni possibili. In realtà l’isolamento del tetto non è un’operazione particolarmente complessa, ma c’è da fare molta attenzione alle caratteristiche del tetto su cui si interviene. Le soluzioni possono essere differenti nel caso di tetti spioventi con tegole o tetti piani; e in quest’ultimo caso si interviene in maniera diversa se il tetto è calpestabile o meno, se è pavimentato o meno. Inoltre nella scelta del giusto metodo d’isolamento è importante capire se si è in presenza di un sottotetto calpestabile o meno, o se addirittura il tetto ricopre un ambiente abitabile come potrebbe essere una mansarda. In tutti questi casi è possibile intervenire per avere un tetto a risparmio energetico operando sia lavori all’esterno che all’interno della casa.
Tetto con tegole e sottotetto calpestabile e non calpestabile
In questi casi le operazioni possono essere anche estremamente semplici ricorrendo alla semplice copertura del sottotetto (solaio non calpestabile) con materassini in lana di roccia o lana di vetro oppure sughero sfuso in granuli. Anche pannelli rigidi di fibra di legno e di sughero sono perfetti, avendo però l’accortezza di non lasciare libere le fughe.
In alternativa si può intervenire sulla parte sottostante le tegole (soprattutto in caso di solaio calpestabile che costringerebbe ad alzare il pavimento) fissando uno strato isolante parallelamente alla pendenza del tetto. Per questo intervento si prestano bene i pannelli rigidi (fibra di legno, sughero, polistirolo o polistirene) da incollare o inchiodare sulla parte sottostante la struttura del tetto. E se si tratta di un tetto di legno lo spazio fra le travi potrebbe essere riempito con un isolante morbido tipo lana o fibra per un’efficienza energetica ancora maggiore.
Tetto piano non calpestabile e calpestabile pavimentato
Anche sui tetti piani si può intervenire sia internamente che esternamente a seconda delle condizioni del tetto. Esternamente, spesso basterà il semplice rifacimento dello strato di protezione impermeabile o guaina che ricopre l’intera superficie (in caso di tetto non calpestabile). Se invece il tetto è calpestabile, spesso sarà anche pavimentato: in questo caso l’intervento richiederà necessariamente la rimozione del pavimento per poter provvedere alla posa di uno stato di guaina isolante.
Tetto che prevede una mansarda sottostante
In quest’ultimo caso il tipo di interventi possibile richiedono un lavoro più complesso che può essere fatto sia all’interno che all’esterno. Spesso accade che siano fatti entrambi, sia ricorrendo a operazioni come quelle descritte precedentemente, che prevedendo la costruzione di un controsoffitto interno rivestito di materiale isolante. Pannelli di fibra di legno e di sughero sono l’ideale per una soluzione più ‘green’, oppure polistirene e simili se si vuole ricorrere a materiali più economici. Oltretutto, anche qui, tra le travi si potrebbe aggiungere il sughero o la fibra di cellulosa, che è molto economica, ma che richiede un ulteriore strato isolante per proteggere dall’umidità.
Naturalmente in questi casi molto dipende anche dall’altezza complessiva degli ambienti interni, perché ricorrere ai controsoffitti inevitabilmente la ridurrà.
Sono finiti i tempi in cui bastava avere un tetto sulla testa: oggi tetto e risparmio energetico sono tra le priorità assolute di chi vuole avere la casa perfetta!

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